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Carlo Pelanda: 2010-3-2Il Foglio

2010-3-2

2/3/2010

Aumenta la domanda di capitale di investimento ma l’offerta va meglio organizzata

Novità. La crisi recessiva combinata con le restrizioni del credito sta forzando molti imprenditori a considerare un’opzione finora scartata: far entrare nella proprietà fondi di investimento. Tradizionalmente, gli imprenditori italiani evitano partenariati con la finanza evoluta perché temono condizionamenti nella gestione e preferiscono rivolgersi al credito bancario, anche perché finora erogato abbondantemente senza troppi controlli di merito. Ma ora le banche dovranno stare più attente sia perché la recessione ha devastato i bilanci delle imprese sia perché andranno in applicazione norme più restrittive (Basilea 2 e 3). In particolare, le imprese avranno grossi problemi a reperire nuova finanza per lo sviluppo. E per questo dovranno giocoforza aprirsi al capitale non-bancario, cioè a quello di investimento e molte puntare ad una quotazione in Borsa perché il capitale entra dove può uscire. Ma l’offerta sarà sufficiente a soddisfare la domanda?

I fondi di private equity (investimenti in aziende non quotate) esistenti sono per lo più competenti, ma pochi e piccoli. Infatti stanno nascendo nuovi fondi pubblici/privati per riempire il gap. Il più grande sarà quello del ministero dell’Economia che raccoglierà capitale dalla Cdp, grandi banche, associazioni. Altri stanno nascendo sotto la gestione di Camere di Commercio. Le finanziarie delle Regioni sono in moto. Da un lato, è bene che il sistema pubblico aggreghi più capitale privato per investimenti. Dall’altro, è pericoloso che un criterio politico influenzi decisioni di investimento. Il buon private equity entra in aziende che possono diventare forti perché si remunera se crescono molto e rapidamente. E’ un mestiere specialistico, dove il finanziario accompagna l’imprenditore sia sul piano delle strategie sia managerializzando l’impresa. Pochi in Italia lo sanno fare. Pertanto c’è il rischio che l’aumento di capitale per investimenti si riversi in finanziamenti inefficienti o assistenziali. Sarebbe un peccato. Anche perché è ben configurato, finalmente, un segmento della Borsa perfettamente adatto alla quotazione delle piccole imprese: il mercato Aim. Per evitare disfunzioni e potenziare l’offerta di finanza di investimento, sarebbe utile: (a) caricare di denaro i fondi di private equity già esistenti piuttosto che far fare il mestiere a neofiti; (b) favorire la cooperazione tra capitale pubblico per ristrutturazioni/salvataggi e quello privato per investimenti veri e propri; (c) favorire fusioni tra aziende; (d) incentivare la quotazione sul mercato Aim; (e) formazione accelerata di direttori finanziari per le Pmi, ora scarsi.

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