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Carlo Pelanda: 1998-12-18Il Foglio

1998-12-18

18/12/1998

Perché l'eccesso di bioprotezionismo rischia di condurre al biocaos mondiale

Poniamo che nel mondo occidentale si affermi il bioprotezionismo invocato a gran voce dai movimenti ambientalisti che si oppongono a qualsiasi intervento umano nei processi naturali. Significherebbe mettere fuori legge la creazione di prodotti biotecnologici e deprimere la ricerca in tale materia. Quale sarebbe l'esito più probabile? Che i creatori e produttori di biotecnologie, semplicemente, migrerebbero in quei paesi dove non esistono regole limitative per la sperimentazione in genetica umana, animale e vegetale. Se nell'università europea o americana il bravo ricercatore che riesce a rendere più resistente un albero alla siccità, manipolandone la genetica, non può più lavorare, allora troverà spazio in una di qualche paese emergente. Il cui governo farà carte false per prendersi una risorsa così importante, portatrice di insediamenti industriali remunerativi dei quali ha disperato bisogno. Il primo punto é che il bioprotezionismo non riuscirebbe a comunque a bloccare la rivoluzione biotecnologica. Solo la trasferirebbe. Il secondo punto é che tale trasferimento comporterebbe un aumento proprio dei rischi che gli ambientalisti ed i militanti bioetici desiderano ridurre preventivamente. Nel sistema occidentale, democratico e basato sulla molteplicità delle opinioni, una novità tecnica deve fare i conti con le conseguenze che produce perché c'é sempre qualcuno che vigila e che può ricorrere sia ad istituzioni scientifiche libere ed evolute sia a sistemi legali efficaci. Per tale motivo un progettista di biotecnologie per l'agricoltura o medicina o zootecnia, negli Stati Uniti ed in Europa, sta molto attento a non creare danni eccessivi con il nuovo prodotto perché il loro costo sarebbe superiore a quello della ricerca per evitarli. In un paese emergente o povero o senza democrazia, questo tipo di controllo é oggettivamente minore se non nullo. La sperimentazione sarebbe tentata ad andare oltre i limiti di qualsiasi prudenza, o per eccitazione creativa o per cinismo. E aumenterebbe la probabilità di vedere organismi veramente pericolosi invadere l'ecosistema globale. Il bioprotezionista potrebbe dire che tale fenomeno dovrebbe essere evitato attuando delle ritorsioni a raggio mondiale contro gli istituti ed imprese che facessero sperimentazioni ed applicazioni sregolate. Ma una tale pretesa é illusoria. Difficile, per dire, che Bruxelles, possa dichiarare guerra a Pechino qualora questa diventasse la capitale mondiale dell'industria biotecnologica. Se ne potrebbero sabotare i prodotti nei mercati europei ed americano. Anche questo é molto improbabile perché le controritorsioni commerciali sarebbero immediate ed insuperabili. Si pensi poi al caso estremo che in India o in Cina, ma in Europa e America no, diventi possibile somminstrare una terapia genetica che rende i settantenni ringiovaniti come un ventenne. Vi immaginate il ministro tedesco degli esteri, il verde Fischer, all'areoporto di Francoforte che con il cartello "falsa giovinezza, no grazie" tenta di fermare orde di gentili signore mature al check in del volo per Nuova Dehli o Pechino? Non é credibile che possa funzionare. Appare quindi sensato porsi nella prospettiva di lasciare che le biotecnologie si sviluppino liberamente nel sistema politico e legale che meglio può contenerne gli eventuali danni ed eccessi, non costringendole ad emigrare.

Eppure un tale scenario così ovvio non é condiviso dai movimenti ambientalisti. La loro azione, semplicemente e ciecamente, é finalizzata a respingere qualsiasi forma di progresso e ad espellere il più possibile l'uomo dalla natura. Questa non é una dottrina razionale di ecopolotica, ma il pensiero d'avanguardia di una nuova religione che deifica la natura stessa. Lasciamo agli specialisti l'indagine dei motivi che hanno reso il neopaganesimo ambientalista un fenomeno di massa nelle società sviluppate. Qui basta registrarne l'ostilità fondamentalista contro il progresso capitalistico ed il principio di centralità dell'Uomo. Tale orientamento distorce in senso irrazionale e pessimistico i concetti più importanti dell'ecologia moderna: sostenibilità, ecoprudenza, tutela della biodiversità, gestione umanistica della possibilità tecnica di penetrare e modificare la struttura della vita. Tali concetti, in mani ambientaliste e di altri fondamentalisti conservatori, diventano strumenti di puro e semplice blocco. La soluzione, soprattuto per evitare lo scenario inquietante detto sopra, é quella di togliere ai movimenti irrazionali e pessimisti il monopolio dell'ecopolitica. C'é bisogno di un manifesto per "l'ecologia ottimistica" che unisca - e non metta in conflitto- la vitalità creativa del capitalismo con una cultura che ne limiti gli impatti non voluti. La si chiami "ecologia razionale" e ci si sbrighi a produrla prima che il pessimismo ambientalista porti al rischio di bioprotezionismo nell'Occidente e conseguente biocaos mondiale.

(c) 1998 Carlo Pelanda
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