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Carlo Pelanda: 2016-6-12Libero

2016-6-12

12/6/2016

Il rischio dell’imbecillità politica di Berlino

Nelle tante analisi della Brexit non mi sembra sia stato rilevato il punto principale: il progetto unionista, definito dal Trattato di Maastricht, è fallito. Pertanto una logica (geo)politica razionale e realistica dovrebbe prendere atto che questo modello federatore degli europei non funziona e predisporne uno nuovo, prima che l’implosione del primo comprometta l’applicazione del secondo. Con questo in mente devo imputare di “imbecillità politica” Schauble. Il reato: ha avvertito il Regno Unito che in caso di exit non si aspetti un nuovo trattato di associazione con l’Ue con formula privilegiata mentre il modo migliore per minimizzare i danni di questa eventualità per tutti è proprio quello di avviare subito, in caso, i negoziati di un trattato di libero scambio che preservi la fluidità doganale, rinforzato dall’adesione a regole comuni in materia di standard. In sintesi, reagire all’eventuale exit britannico con un nuovo trattato di associazione economica che, di fatto, emula l’adesione al mercato unico, manterrebbe le cose come stanno in una configurazione più flessibile adatta alla sensibilità inglese e allo stesso tempo utile agli altri europei. Da un lato, in fase di campagna referendaria tale soluzione non può essere detta. Dall’altro, ritengo “imbecillità politica” il metterla in dubbio, perfino evocando una sorta di vendetta contro il pronunciamento di una democrazia. Per inciso, questo è il punto che innervosisce i mercati: non riescono a capire quale formula di ri-associazione al mercato europeo sarà concessa a Londra, in caso, e se. Schauble dice le cose che Merkel non può dire. Berlino sta reagendo con violenza dissuasiva all’ipotesi che 7 delle 10 nazioni non euro si chiamino fuori dalla Ue se vedessero il precedente di un’uscita con rientro immediato attraverso un trattato di associazione economica privilegiato. I baltici, in particolare, potrebbero essere tentati dall’opportunità. In tale scenario baltici ed europei orientali si aggancerebbero all’America che è molto più credibile della Germania per difenderli dalla pressione russa. Berlino conterebbe molto meno perché l’America s’insedierebbe come potenza intraeuropea e un’Europa germanocentrica più piccola non le permetterebbe una posizione G3 alla pari con America e Cina. La conseguenza sarebbe di dover abbandonare il neutralismo mercantilista e di associarsi all’America per difetto di potenza, perdendo così la facoltà di esercitare quel signoraggio economico dato dal controllo monopolista sulla regione europea occidentale. E ha il terrore che l’Eurozona si frammenti perché se tornasse al marco la svalutazione delle altre monete distruggerebbe l’industria tedesca. In sintesi, posso capire la paura tedesca. Ma a questa paura una nazione adulta dovrebbe reagire sostenendo un meccanismo di rifederazione positiva più adatto alla realtà e non arroccarsi a difesa di uno che non funziona e sta implodendo: a) un’Eurozona a 18 nazioni con modello più flessibile e non depressivo; a) la possibilità per le altre nazioni non euro di uscire dalla Ue e riassociarsi con trattati economici privilegiati senza escludere l’adesione futura all’euro stesso; c) un’area di nazioni associate all’Eurozona attraverso trattati economici meno privilegiati, ma funzionanti, per esempio fatta da nazioni balcaniche, la Russia stessa nel futuro, la Turchia (che è degenerata proprio perché non si è trovato uno strumento per associarla all’Europa pur non potendo entrarci) e in prospettiva le ricche nazioni dell’Asia centrale, anche per non lasciarle alla Cina. In sintesi, la soluzione rifederatrice è quella di riesumare una Comunità europea multilivello attorno al nucleo dell’Eurozona: più capacità di espandersi e di fare mercato, considerando che lo spazio europeo va da Lisbona a Vladivostock, e che in questo scenario l’America avrebbe molti più motivi per associarsi all’Europa, entro un G7 “di governo”, che quelli dati dal tentativo di Germania e Francia, pur ormai degradata, di farsi il loro piccolo euroimpero. La riassociazione di Londra in caso di exit apre questo scenario: la Germania, con pensiero chiuso e ottuso, mostra di preferire il dominio su un’Europa piccola e in crisi piuttosto che salvarla favorendo un progetto di espansione economica e geopolitica innescato da una (ri)federazione più flessibile del sistema europeo e suoi vicinati. Probabilmente il Brexit non ci sarà, ma il tema qui abbozzato è ormai sul tavolo e implica nuovo pensiero strategico anche per Roma.

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