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Carlo Pelanda: 2013-6-24Libero

2013-6-24

24/6/2013

I mercati tornano alla realtà

Per capire i motivi della nuova incertezza nei mercati finanziari è utile mostrare quale sia esattamente la crisi in atto. La sintetizzo: è finito un mondo e quello nuovo stenta ad emergere. Negli anni ’50 l’America decise di mantenere coeso l’Impero occidentale, esposto alla sfida sovietica, rendendo ricchi gli alleati con una strategia di commercio internazionale asimmetrico: aprirsi totalmente alle importazioni dai Paesi amici senza chiedere loro reciprocità. Gli alleati divennero ricchi perché furono in grado di guadagnare dall’export crescente e, allo stesso tempo, di proteggere le aree di mercato meno capaci di concorrenza. Ma ciò creò un’architettura squilibrata del mercato internazionale: l’America importava da tutti e tutti esportavano verso l’America senza far crescere i loro mercati interni. Quando l’America si rese conto che non poteva reggere tale sforzo gli alleati, in particolare Germania e Giappone, avevano già consolidato modelli nazionali a forte protezionismo sociale dipendenti dall’export. Liberalizzarli per bilanciare con più crescita interna una riduzione di quella esterna avrebbe comportato rivolte. Per questo gli alleati iniziarono a comprare debito americano ed a pompare le borse statunitensi per arricchire i consumatori americani e così mantenere il tiraggio delle importazioni. Così l’architettura del mercato internazionale creata per un fabbisogno strategico della Guerra fredda continuò dopo la fine di questa. Quando la Cina entrò in questo sistema con gli stessi comportamenti, la locomotiva americana ebbe un cedimento da sovraccarico, con esplosione nel 2008. L’America sta riparando la locomotiva, ma questa potrà tirare solo a mezza forza nel futuro. Ciò vuol dire che tutte le nazioni saranno costrette a fare più crescita nei loro mercati interni per bilanciare il calo dell’export. Ma gli europei rifiutano di farlo. La Cina sta tentando, ma il suo disordine interno è un ostacolo grave. In sintesi, questa è la crisi in atto: il motore della domanda globale potrà girare di meno e tutte le altre nazioni hanno difficoltà ad accendere motori ausiliari. Nel 2012 e prima parte del 2013 questo problema è stato nascosto dall’effetto globale del metodo di reflazione d’emergenza usato dall’America per riparare la propria economia. In particolare, la Banca centrale statunitense (Fed) ha generato un’alluvione di liquidità che ha dato tiraggio a tutto il mercato mondiale, Borse in particolare. Ma, ovviamente, tale politica d’emergenza ha un termine. In questi giorni il mercato si è svegliato dalla strana illusione che l’America avesse ripreso in pieno il suo antico ruolo di locomotiva a pieno vapore e sta tornando alla realtà: reflazione a termine e poi tiraggio solo a mezza forza con le altre nazioni vagoni incapaci di trasformarsi in locomotive, promessa di stagnazione mondiale. Paradossalmente, nel momento in cui l’America mostra di essere vicina alla fine della riparazione, e segnala un termine per la bolla generata allo scopo, il mercato diventa incerto e pessimista. Ma è solo un ritorno alla realtà dello scenario di crescita lenta già ben delineato dal Fmi nell’ottobre 2012. Infatti il mercato non sconterà una catastrofe pur meno propenso ad entusiasmi. Tuttavia, se l’Eurozona, l’unica che può farlo, non si unirà all’America nel ruolo di seconda locomotiva globale, tra qualche mese o un anno il mercato dovrà scontare il rischio di passaggio da una ripresa lenta ad una stagnazione mondiale, precursore di tragedie. Per evitarle è in accelerazione l’accordo di libero scambio euroamericano. Ma se le nazioni dell’Eurozona, Italia in primis e Germania compresa, Francia ormai economicamente morta, non sapranno tagliare spesa e tasse e liberalizzare per dare crescita ai loro mercati interni, l’eurolocomotiva sarà insufficiente. Pensino comunisti e statalisti di destra e sinistra quale responsabilità morale si prendono nel non voler riconoscere che un mondo è finito, così tardando l’adeguamento a quello nuovo.

(c) 2013 Carlo Pelanda
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